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Pace

Parco storico di Monte Sole Aula didattica di Monte Sole

Ufficio Scolastico Regionale E-R

Centro Servizi Amministrativi - Bologna

Progetto Marconi

PROJECT

 

Educare alla Pace

Educare alla pace, a Monte Sole, vuol dire partire da qui, da questa memoria che chiede di essere conservata, ma anche e soprattutto riscattata (la decontaminazione di cui parla Moni Ovadia) perché quello che è accaduto non sia accaduto invano.


Educare alla pace, a Monte Sole, significa educare ad una cultura di pace : un percorso lungo e complesso dove si intrecciano la memoria del passato ed uno sforzo costante di rielaborare tale memoria, a partire dalla consapevolezza di sé, dal riconoscimento dei propri errori e delle proprie responsabilità (l'indifferenza e il silenzio di chi vedeva avvicinarsi l'orrore e non sapeva opporvisi, l'indifferenza e il silenzio di chi, oggi, riconosce le premesse di analoghi processi di violenza e di terrore e tuttavia tace) per riflettere sulle responsabilità altrui e sui meccanismi e sui percorsi che permettono l'emergere e il consolidarsi della cultura della violenza e della sopraffazione.


Una cultura di pace non è una cultura nella quale il conflitto non esiste. Al contrario, essa ci insegna a riconoscerlo ed accettarne l'esistenza, come presenza costante e non negativa in sé, purché ne diventiamo consapevoli, impariamo a riconoscerne i diversi aspetti, ad agire su di essi, trasformandoli in modo creativo, in forme non violente, purché impariamo a comprendere ed accettare che esso appartiene alla quotidianità del nostro vivere, a partire del livello personale fino a quello pubblico, politico, tra stati, etnie, classi, ecc.


Per questo l'attività di educazione alla pace a Monte Sole comincia sempre dal livello personale e da un confronto fra uomini e donne, ragazze e ragazzi, con le loro vite, le loro emozioni, desideri, idee, opinioni, visioni del mondo, mantenendo viva l'attenzione per le differenze di genere, generazione, cultura, etnia, nazione, classe.

Quello che tentiamo di proporre è un incontro e un confronto tra persone reali - un incontro interculturale , potremmo dire, nel senso più ampio del termine - con tutti i loro problemi concreti, senza la pretesa di risolvere o cancellare questi problemi, ma con la convinzione che sia possibile intervenire perché esse ne prendano coscienza e procedano lungo un percorso di trasformazione nonviolenta, creativa; dalla situazione di partenza, un passo dopo l'altro, verso un nuovo traguardo da superare appena sia raggiunto quello precedente.


Educazione alla Pace, nel percorso proposto da Monte Sole, significa dunque educazione al dialogo, al confronto e quindi rappresenta una delle vie percorribili, un contributo a costruire una democrazia partecipata, una cittadinanza responsabile e consapevole.
Quale ruolo assume, in questo contesto, il lavoro sulla memoria? E sulla storia?


L'educazione alla Pace, nel percorso che parte da Monte Sole, ha il suo fulcro in un discorso approfondito sul tema delle memorie e della storia.
La scuola si trova in un luogo “speciale”, un luogo emblematico per la ricostruzione dell'emergenza dei meccanismi della violenza che qui si sono manifestati con una terribile crudeltà.


Nazismo – e fascismo – possono rappresentare per noi, per il segno che hanno lasciato nella nostra storia recente, per il segno profondo che è rimasto tra queste colline, il punto di riferimento al negativo dal quale partire per comprenderne la centralità e dare spessore a quell'esortazione al ricordo, che talora appare fin troppo retorica e che sentiamo ripetere spesso: perché quanto è accaduto non accada mai più , ma che risuona anche come un appello, da parte dei sopravvissuti, perché sia restituita voce a coloro che sono scomparsi nel silenzio e nell'indifferenza di molti. Pensiamo soltanto al ruolo attribuito ad una vera e propria pedagogia del razzismo e della violenza alla quale furono educati migliaia di giovani in quegli anni e che rappresenta la negazione assoluta dei valori ai quali si richiama una cultura della pace. Pensiamo anche all'uso politico, attraverso la propaganda, della memoria e della storia, con il quale costruirono ed imposero una lettura univoca del passato e pretesero di dare forma ad una memoria collettiva irrispettosa di quel pluralismo che appartiene alle memorie per loro stessa natura, priva di sfumature, spesso nutrita di retorica e stereotipata, riducendo la complessità, negando il dibattito tra posizioni diverse, il confronto, il dissenso, mentre contemporaneamente privavano la storia della sua possibilità di essere “polifonica”, capace cioè di far dialogare voci differenti e talora discordanti .


Una cultura della pace non può che rifiutare queste modalità di lettura del passato ed un'educazione che voglia fornire strumenti per imparare a gestire e trasformare i conflitti dovrà accogliere e confrontare memorie diverse, anche divise, anche contrapposte, nella prospettiva di un percorso che comprenda la mediazione e la negoziazione e che possa condurre fino alla riconciliazione.
Ma ogni riconciliazione passa attraverso la consapevolezza di quello che è stato – una consapevolezza che non neghi le responsabilità personali o collettive - e delle rappresentazioni diverse che le memorie conservano di quell'evento. Per questo impariamo/insegniamo a ricordare. L'oblio potrebbe invece relegare quelle stesse memorie in un archivio nascosto, con il pericolo che esse riemergano in contesti differenti, con la violenza di un impetuoso fiume sotterraneo che, come in un fenomeno carsico, improvvisamente ricompaia a travolgere e distruggere.


Un percorso di conoscenza rappresenta un passo essenziale lungo questo cammino. Se continuiamo ad assumere a nostro riferimento il nazismo e il fascismo, ciò significa che, attraverso l'approfondimento in chiave storiografica delle loro origini e delle radici culturali, ma anche attraverso l'analisi di quanto operarono in merito alla loro politica di razzismo e di violenza, fino allo sterminio, possiamo imparare a decifrare i meccanismi che hanno guidato la mano dei carnefici di tanta umanità. Anche se il passato non si ripete mai identico, come gli storici ci insegnano, tuttavia alcuni ingranaggi di quei meccanismi, magari diversamente assemblati, possono ritornare o sono già ritornati in altri contesti, in tempi e luoghi differenti. Saperli riconoscere e identificare significa acquisire strumenti per non divenirne complici.


In questa prospettiva, anche come educatori, siamo chiamati a riflettere, da una parte, sulle differenze tra la memoria e la storia: la memoria tende ad unire il presente e il passato, o meglio a rendere presente il passato; la storia, pur partendo dalle domande del presente, ne ratifica e ne persegue la irreparabile separazione ; dall'altra, sulla necessità di coniugarle insieme: se è vero che la memoria può e deve porre nuove domande alla storia, è altrettanto vero che la storia può e deve rispondere , e proprio al fine di puntare l'accento sulla responsabilità, cui le memorie ci richiamano, che è l'opposto di quell'indifferenza della quale molti sono stati colpevoli e che ha reso possibile la deportazione e lo sterminio, che rappresenta il contesto nel quale anche le stragi hanno avuto luogo.


Riguardo a questo percorso educativo siamo debitori agli studi che, in questi ultimi decenni, si sono sviluppati intorno al tema della deportazione e dello sterminio.
Nel Lager una vera e propria “battaglia” della memoria è quella che si ingaggia tra carnefici e vittime, nel tentativo di queste ultime di conservare almeno un sottile legame con il loro passato, che rappresenta una sorta di resistenza alla caparbia volontà di cancellarle come esseri umani: poche righe appuntate segretamente, per non dimenticare e non far dimenticare quello che sta accadendo, qualche oggetto personale salvato fortunosamente e gelosamente conservato oppure soltanto uno spazio privato mantenuto, nel segreto e nel silenzio, e nonostante tutto, al ricordo della vita di prima: una scelta di sofferenza, di nostalgia e di dolore che esprime però la volontà di guardare verso il futuro perché “fare memoria” è sempre un atto che si colloca nella dimensione dell'alterità in nome della quale, per la quale o contro la quale si mette in moto il meccanismo del ricordo .
Ed anche la pervicace volontà di cancellare le tracce dello sterminio, eliminando sistematicamente i testimoni, mostra l'importanza della memoria per il nazismo, di questa arma immateriale della quale esso fu consapevole in ogni momento e che seppe gestire con perizia.

Questo insieme di riflessioni ci consente di lavorare sul piano della prevenzione , che è una delle parole chiave dei nostri percorsi e di avviare processi di riconciliazione quando chi viene a Monte Sole proviene da luoghi di guerra e di conflitto e appartiene a schieramenti contrapposti e porta con sé ferite recenti e profonde, come accade nell'esperienza dei Campi di Pace .


Bibliografia

Cfr. Charles Maier, Fare giustizia, fare storia: epurazioni politiche e narrative nazionali dopo il 1945 e il 1989 , in: Leonardo Paggi, La memoria del nazismo nell'Europa di oggi , Firenze, La nuova Italia, 1997.

Anna Rossi Doria, Memoria e storia: il caso della deportazione, Soneria Mannelli, Rubbettino, 1998, p. 13.

Ibidem , p. 63.

Raffaele Mantegazza, Dimenticare è mentire. Verso una pedagogia della memoria , in Daniele Novara (a cura di), Memoranda. Strumenti per la giornata della memoria , Molfetta, 2003, p. 10.