(di Alessandro Rabbone)
Viviamo  indubbiamente, a dispetto della crisi, o forse proprio in conseguenza di  questa, un momento in cui sono possibili forti innovazioni tecnologiche nel  mondo della scuola. Non si erano verificati momenti simili dai tempi del PSTD.  Da ormai più di dieci anni!.
  Mi  riferisco a due progetti nazionali. Quello della distribuzione “massiccia”  delle LIM  nelle scuole secondarie di I grado, progetto molto “visibile” e conosciuto,  e quello dell’introduzione  dei notebook “ultraportatili” per ogni bambino della scuola primaria:  la sperimentazione dei JumPc in alcune scuole  di Piemonte, Lazio e Sicilia, che riprende l’esempio dell’iniziativa di Negroponte (OLPC =  One Laptop Per Child) per i bambini dei paesi in via di sviluppo.
  
Mentre la  documentazione in rete sul progetto JumPc è piuttosto abbondante, non mi è del  tutto chiaro quale sia il coinvolgimento istituzionale del MIUR. Eppure  qualcosa su questo terreno sembra muoversi… Ed era ora! Perché, nonostante  tutti gli sforzi organizzativi dei vari ministeri che si sono succeduti in  questi ultimi anni e della nuova Agenzia ANSAS, l’introduzione delle tecnologie  nella scuola primaria e secondaria di I grado è sempre rimasta confinata ad una  dimensione “laboratoriale”, del fai da te, e comunque affidata alla buona  volontà dei soliti volontari del mondo digitale… 
  C’è comunque  da domandarsi se esista, o potrebbe esistere, una relazione tra le iniziative  delle 8000 LIM nelle medie e quella dei JumPC nella primaria. Se possano far  parte di una strategia complessiva che riguardi la didattica degli anni ’10,  vista magari in una prospettiva verticale di continuità tra gradi di scuola. 
  La domanda  di fondo è dunque: nelle intenzioni del ministero quale saranno i futuri  rapporti tra lavagne e computer nelle scuole di base?
Si insiste molto sull’idea di LIM come “cavallo di  Troia” rispetto alla didattica tradizionale. Fidando sul proprio nome  rassicurante di “lavagna”, sarebbe in grado di entrare nel vivo della vita d’aula  , di evitare di essere confinata in spazi isolati come il laboratorio  d’informatica e di portare con sé le innovazioni intrinseche all’uso della  tecnologia.
  Proprio la continuità ideale lavagna di ardesia -  lavagna digitale, garantirebbe questo passaggio.
  Ma ci si dimentica che anche rispetto all’uso  della lavagna tradizionale ci sarebbe ancora molto altro da fare.
  In realtà ciò cui bisognerebbe prestare attenzione,  oltre le competenze tecnologiche in senso stretto, sono le competenze  comunicative tout court.
  Un solo esempio, banale, ma significativo. Pur  essendo la lavagna di ardesia lo strumento storicamente più usato in assoluto  da tutti gli insegnanti, non è mai esistito (che io sappia) un solo manuale di  utilizzo didattico della stessa. Come ci si muove davanti ad una lavagna?  Quando si deve scrivere e quando si deve disegnare? Come ci si rivolge agli studenti?  Come li si chiama in causa? Ecc.
  
L’unico esempio positivo di attenzione alla  comunicazione didattica che abbiamo nel nostro passato risale ad Alberto Manzi,  con il famoso “Non è mai troppo tardi”. 
  Voglio dire che sia la lavagna tradizionale, sia  quella digitale, mettono in gioco una dimensione “teatrale” o rappresentativa,  che non è dimensione solo formale, ma che fa parte,  a pieno titolo, del processo di insegnamento  – apprendimento.
  Le capacità di coinvolgere e interessare, di  capire quando l’uditorio è stanco o annoiato, di valutare quale strumento di  comunicazione è più adatto ad una situazione specifica… Tutte queste sono forse  doti personali innate, ma certamente possono essere insegnate e imparate, acquisite  e sviluppate, raffinate e consolidate. Fanno parte insomma del necessario bagaglio  professionale di un insegnante. 
  La “digitalizzazione” della lavagna, da sola, non  appare assolutamente in grado di garantire un miglioramento qualitativo della  didattica. Forse, con la LIM si potranno anche introdurre aspetti tecnologici  nuovi, ma questo non significa che la comunicazione, e quindi anche l’apprendimento,  ne risulteranno migliorati in termini di qualità ed efficacia.
Ho avuto  occasione di usare una LIM, una delle prime sul mercato, nel 2005 - 2006 nell’ambito  di una sperimentazione quando lavoravo all’IRRE Piemonte con i bambini della  scuola dell’Infanzia e delle prime classi della primaria. La sperimentazione  non aveva come oggetto la lavagna in sé, bensì l’ambiente cognitivo determinato  da una serie di elementi (tra cui anche la lavagna) comprendente il software utilizzato e soprattutto  l’approccio di metodo.
  Negli  ultimi mesi, entrato nel gruppo Wiidea, ho avuto modo di sperimentare il kit  Wiimote – Whiteboard (con l’aiuto, davvero determinante, del gruppo bolognese)  sia in situazione con adulti, italiani e stranieri in un CTP, sia con i bambini  di una terza primaria.
  Per  quella che è la mia modesta esperienza sono arrivato a concludere che la LIM o  la WW possano essere utilizzate in diverse situazioni e diversi contesti,  ciascuno dei quali può riferirsi a differenti modelli di interazione didattica. 
  Per  comodità e sinteticità ne elenco tre:
Strumento per lezione frontale. L’insegnante “spiega” argomenti “previsti”. Ideale per introdurre nuove conoscenze, per esempio l’uso di un software nuovo.
Elemento di approfondimento in situazione di interazione per rispondere a domande o occasioni didattiche “impreviste”. Finestra sul mondo. Da questo punto di vista la presenza di una connessione Internet è indispensabile.
Ambiente di condivisione cognitiva. Con questa espressione intendo indicare genericamente una serie di attività che spaziano dal semplice brainstorming, al collaborative learning, al cooperative learning, a percorsi didattici che fanno riferimento al costruttivismo e al costruzionismo…, al di là dei differenti significati che ciascuno di noi potrebbe attribuire a tali termini.
(in laboratorio d’“informatica” 15 macchine  con Windows XP, proiettore e kit WW) 
  Si trattava  di 15 corsisti per lo più di una certa età, molti pensionati, o di casalinghe  che facevano il corso al CTP per "imparare a usare il computer". I  corsisti sembravano molto in difficoltà sia con la comprensione di ciò che accade  sul monitor, sia proprio con la motricità fine relativa al mouse. Insomma si  trattava decisamente di utenti alle primissime esperienze... Molti di loro  avevano un atteggiamento decisamente "ansioso" rispetto all'attività  e il mio lavoro era più quello di rassicurarli che non quello di insegnare loro  qualcosa.
  La  proposta ufficiale del CTP è un corso di Word, ritenuto, chissà perché, il  primo passaggio alfabetizzante rispetto all'"informatica". In realtà  io ho insistito di più su alcuni concetti operativi di base: la gestione delle  finestre, le differenze tra clic sinistro e clic destro, la struttura logica  per l'archiviazione dei file...
  Dato che  i corsisti avevano grosse difficoltà a comprendere i meccanismi di gestione sia  delle finestre Windows, sia del salvataggio e dell'archiviazione dei file, ho  deciso di proporre un'attività passo - passo. Facevo alcuni esempi sulla  lavagna con la IR pen, spiegando bene che ogni mio tocco equivaleva ad un clic  del mouse e invitavo i corsisti a "ripetere" immediatamente sul loro  pc o sulla loro tastiera ciò che vedevano...
  La mia  impressione è che l'uso della lavagna con una figura umana che  "media" il da farsi con dei movimenti ben visibili e conosciuti sia  molto più efficace rispetto all'uso “nudo e crudo” della proiezione su schermo  in cui si percepisce solo il muoversi del puntatore. In altre parole l'uso  della lavagna è in grado di sottolineare con maggiore evidenza il rapporto di  causa-effetto tra l'azione intenzionale umana (il clic) e l'apertura di una  finestra o di un evento semplice.
(in auletta al CTP, un notebook, il proiettore  e il kit WW)
  In una prima occasione avevo solo due corsisti, un  ragazzo senegalese e una giovane donna polacca. In un altro corso un gruppo di  12 corsisti in prevalenza marocchini, ma anche nigeriani, un brasiliano e una  rumena. Si tratta di persone giovani e vivaci, molti operai, ma anche molti  disoccupati...
  Una sera ho sentito che discutevano di un fiume  che scorre in Marocco. Ho colto la palla al balzo e ho proposto di guardare  tutti insieme Google Earth.
  Detto fatto, in pochi minuti ho montato  l'attrezzatura. Abbiamo cercato il fiume in questione e, già che c’eravamo, ho  chiesto loro di aiutarmi a cercare la casa in cui ciascuno era nato o dove  abitava prima di venire in Italia.
  Mi sono messo di fianco alla lavagna e, usando la  tastiera a schermo, mi sono fatto dettare nomi di località e indirizzi.
  
In quasi tutti i casi siamo riusciti ad individuare  le case, pur tra mille difficoltà dovute alla nostra non perfetta conoscenza  della grafia in italiano o in inglese di nomi arabi.
  La ragazza polacca di Cracovia ha giurato di  riconoscere l'auto di suo padre che viene parcheggiata sempre nello stesso punto  della strada in cui abitava. Il senegalese mi ha quasi strappato di mano la IR  pen ed ha cercato lui stesso il negozio in cui lavorava a Dakar.
  La sera, il brasiliano, un ragazzo decisamente  sveglio che si muove con competenza sul pc e che conosceva già Google Earth,  non ha resistito: si è seduto direttamente al computer per fare vedere a tutti  quanti le dighe sul Paranà vicine alla sua città natale.
  La ricerca dei luoghi familiari ha avuto comunque  un impatto emotivo molto forte. 
  Abbiamo esplorato tutti insieme Casablanca,  Meknes, Rabat, Oued Zem.... Ogni tanto aprivo le fotografie di Panoramio che  apparivano sulla mappa e chiedevo loro di fornire ai compagni una breve  spiegazione, in italiano ovviamente, su un monumento, su un mercato, su una  moschea, su un ponte, su un giardino.
  In altre occasioni, con gli stessi gruppi, ma in  laboratorio, ho semplicemente usato la lavagna per fare collettivamente  esercizi preparati sul web per le esercitazioni individuali.
  Gli esercizi collettivi avevano essenzialmente una  funzione propedeutica, introduttiva, alle vere esercitazioni sulla lingua,  individuali.
  In questo modo ho potuto superare, almeno  parzialmente, l’ostacolo dovuto al sommarsi di difficoltà “tecniche” (l’uso del  pc) e difficoltà linguistiche… 
(in locali disparati: aule,  laboratori, spazi comuni, secondo la necessità, proiettore e LIM Smart “portatile”  oppure Kit WW) 
  
Sia nella  sperimentazione IRRE, sia in quella più recente, l’obiettivo è stato quello di  riuscire a focalizzare in gruppo e di tematizzare verbalmente una serie di  “nodi” operativo - cognitivi legati a principi elementari della programmazione;  per esempio come ottenere l’animazione di uno sprite non troppo veloce, ma non troppo lenta, oppure come  combinare in un unico script l’iterazione  del cambio di forma con lo spostamento dello sprite.
  Il  principio costruzionista cui entrambe le esperienze si richiamano può essere  riassunto dall’affermazione di Papert secondo cui:
  “we learn better by doing … but we learn better  still if we combine our doing with talking and thinking about what we have done” 
  Indubbiamente  impariamo di più se “facciamo”, ma le cose vanno ancora meglio se abbiamo  occasione di parlare (con altri) e di riflettere su ciò che abbiamo fatto.
  Da questo  punto di vista è chiaro che la lavagna (LIM o WW) ha potuto giocare un ruolo  fondamentale nel permettere una comunicazione chiara di esperienze. 
  Con i  bambini di 5 – 6 anni della sperimentazione IRRE è stato utilizzato il software  MicroMondi Jr, con quelli più grandicelli, di 9 anni, Scratch.
  Ovviamente  i due software utilizzati sono stati messi a disposizione sui pc dei bambini.  La lavagna è sempre stata utilizzata come strumento di condivisione per non più  di 30 – 40 minuti consecutivi. Terminato il momento di riflessione collettiva  si è sempre ritenuto essenziale che i bambini avessero modo di provare in prima  persona (o al massimo in coppia) e di esercitarsi sui problemi trattati. In  questo caso, infatti, l’essenza dell’utilizzo della lavagna si fonda sulla  puntuale alternanza tra momento condiviso e momento cognitivo individuale di  verifica o di sperimentazione.
  
Già dai primi incontri, uno degli aspetti che a  me, paradossalmente, è sembrato più positivo è che la lavagna andava progressivamente  "scomparendo".
  Mi spiego meglio.
  All'inizio dell'incontro c'era la novità del  grosso touchscreen, a suscitare  interesse e curiosità, ma man mano che illustravo esempi, chiedevo ai bambini  di immaginare cosa “sarebbe successo se...” - per poi verificare subito -  oppure chiedevo di provare loro stessi, l'attenzione e l'interesse si  spostavano progressivamente dal mezzo al "contenuto".
  Nelle situazioni con la WW, che non dispone della  possibilità del clic con il “tocco” del dito, mi ha anche colpito la scioltezza  con cui questi bambini di 8 - 9 anni sono stati capaci di prendere la penna in  mano, di capire al volo che dovevano premere il pulsantino per fare clic (il  pulsantino della penna era quello che mi preoccupava di più), di sapere  muoversi davanti alla lavagna per non ostacolare la visione dei compagni…
  Lavoro da tanti anni con bambini e tecnologie, ma  non smetto mai di stupirmi. 
Settimo  torinese, martedì 26 maggio 2009
  Alessandro  Rabbone